Vaticano e Israele: una lettera di Gian Franco Spotti


In Italia si trova ancora qualche editore coraggioso: è il caso del direttore del quotidiano Informazione di Parma, che il 20 Maggio scorso ha pubblicato senza la minima censura la seguente lettera di Gian Franco Spotti ( http://www.informazionediparma.com/archivio/20090520/10_PR2005.pdf ):

VATICANO E ISRAELE

Egregio Direttore,
ora non ci sono più dubbi,
dopo la visita di Papa Benedetto
XVI° in Israele, la Basilica di
San Pietro, in Vaticano, non è
più una chiesa ma una sinagoga.
Non che fosse una novità.
Le operazioni di “smantellamento”
della chiesa cattolica
ebbero inizio con il Concilio Vaticano
II° e la dichiarazione Nostra
Aetate (nel nostro tempo)
del 1965, nonché col notevole
sforzo di alti prelati che agivano
ed agiscono tutt’ora come una
“quinta colonna”. Basta leggere
il libro di Maurice Pinay “Complotto
contro la Chiesa “del
1962, ritirato all’epoca in fretta
e furia dalle librerie su doppia
pressione del potere politico ed
ecclesiastico.
Il Santo Padre non rappresenta
uno Stato sovrano ma un’entità
religiosa a durata limitata, soggetta
a pressioni e ricatti.
Il suo viaggio in Israele è tutta
una serie di sottomissioni e diktat
imposti, fra i quali: prima
tappa in assoluto, l’obbligo di
visitare lo Yad Vashem e la dichiarazione
che l’olocausto non
lo si può negare. Il gesto di
piantare un ulivo simbolo di pace
proprio nel paese che di pace
non ne ha mai voluto sentir
parlare e di cui non gliene frega
assolutamente niente. L’esitazione
a beatificare Pio XII° [foto] perché
il mondo ebraico non è
d’accordo. Ritengono che Pio
XII° sapesse dell’olocausto ma
che abbia taciuto. Non esistono
prove a sostegno di questa tesi,
né sono mai esistite. Il continuo
ricordare, da parte di alcuni
leader politici israeliani, che
l’attuale pontefice è tedesco e
che in giovane età ha militato
nelle formazioni della flak (an-
tiaerea) tedesca. Il rinfacciargli
il suo discorso di Ratisbona
non gradito al popolo eletto; il
permesso accordatogli di visitare
la Cisgiordania (non martirizzata
dai bombardamenti) ma
il divieto di visitare Gaza, per
rendere omaggio alle poche migliaia
di cattolici ivi residenti,
con la scusa di un possibile,
quanto improbabile, rischio di
attentato alla sua incolumità. In
verità per non metterlo davanti
all’immane macello e alla distruzione
perpetrati pochi mesi
fa dagli israeliani così amanti
della pace.
A tutto ciò bisogna aggiungere
tutto quello che i media non
possono permettersi di dire e
che fa parte dei colloqui riservati
con gli alti esponenti politici,
durante i quali, di solito,
gentilezza, correttezza e diplomazia
non sono di uso comune.
Lo Stato italiano, servo tra i servi,
si adegua, ascolta e annuisce,
mettendosi sull’attenti davanti
a suoi datori di lavoro che
hanno la residenza a Tel Aviv.
Gian Franco Spotti
(Soragna)