Canada: Internet ha reso obsoleta la legge sull'odio

INTERNET HA RESO OBSOLETA LA LEGGE SULL’ODIO

Di Joseph Brean, 22 Febbraio 2010[1]

La filosofia vecchia di 20 anni che sta dietro la legge canadese sui reati di odio è ora “totalmente obsoleta”, a causa degli effetti di “interazione, dinamismo e democratizzazione” provocati da Internet, secondo le argomentazioni presentate davanti alla Corte Federale.

L’articolo 13 del Canadian Human Rights Act [Legge canadese sui diritti umani] che proibisce messaggi in rete che additino gruppi particolari all’odio o al disprezzo venne concepita negli anni ’70 per i messaggi telefonici che istigavano all’odio. Nel 1990, la Corte Suprema del Canada stabilì un limite ragionevole alla libertà di espressione, in parte perché un messaggio telefonico di odio “dà all’ascoltatore l’impressione di un contatto diretto, personale, quasi privato da parte di chi parla, non fornisce mezzi realistici per contestare l’informazione o le opinioni presentate e non è soggetto ad un contraddittorio all’interno di quel particolare contesto comunicativo”.

Internet ha “cambiato radicalmente” tale contesto, permettendo confutazioni e discussioni immediate, secondo l’avvocato Barbara Kulaszka [foto].

La decisione del Parlamento del 2001, di ampliare l’articolo 13 per includervi Internet – e quindi quasi tutte le notizie pubblicate in Canada, sia che provengano da un blogger o da un conglomerato mediatico – è “un cambiamento tanto epocale” che la Corte Federale “ha non solo il diritto ma il dovere” di riconsiderare la questione della costituzionalità dell’articolo 13, specialmente perché esso non permette la tradizionale difesa legale basata sulla verità né dei commenti equanimi.

Internet “fornisce ogni mezzo per contestare informazioni e per contro-argomentare, i due fattori vitali assenti nel contesto del messaggio telefonico”, ha scritto Kulaszka nelle sue memorie legali per Marc Lemire, il webmaster del sito freedomsite.org. Il memorandum fornisce una breve visione del contenzioso oggetto dell’imminente riesame, da parte della Corte Federale, dell’assoluzione di Marc Lemire – emessa lo scorso anno – per le accuse di istigazione all’odio mossegli davanti al Canadian Human Rights Tribunal [CHRT].

Il presidente del CHRT Athanasios Hadjis mise in crisi il perdurante dibattito canadese sui reati di opinione stabilendo che Lemire aveva, in realtà, violato l’articolo 13 in un singolo caso – tra i molti presunti capi di imputazione – ma che la legge in sé stessa era incostituzionale. Egli ritenne che un emendamento del 1998 che contemplava la possibilità di una multa supplementare di 10.000 dollari creava un conflitto con lo scopo presuntamente correttivo e conciliatorio dell’articolo 13.

Kulaszka descrive quest’unica violazione – per aver pubblicato un articolo, chiamato AIDS Secrets, scritto da un neo-nazista statunitense e rivolto contro i neri e contro i gay – come “una discussione su questioni di pubblico interesse riguardanti l’AIDS che non avrebbe dovuto essere sottoposta a censure”.

In un dibattito sul “discorso di odio” che ha molti filoni – dall’integrazione dei musulmani all’”agenda gay”, al neonazismo, alle vignette danesi – il procedimento contro Marc Lemire è l’evento principale: una battaglia sui diritti umani politicamente velenosa, durata otto anni, iniziata in un’oscura chatroom di estrema destra nel 2002 e che ora probabilmente fisserà una nuova direzione all’approccio canadese sui reati di odio.

Si ritiene che la CHRC [Canadian Human Rights Commission] sosterrà che, eliminando la sanzionedella multa, l’articolo 13 possa essere salvato.

Kulaszka sostiene nella sua comparsa che tale soluzione non è sufficiente, perché l’ammenda e le disposizioni risarcitorie in favore della vittima “riflettono l’intento e l’obbiettivo del Parlamento di gelare, punire e scoraggiare la libertà di espressione come previsto [dall’art. 13]. Esse costituiscono l’essenza e la sostanza di ciò che il Parlamento voleva ottenere dal progetto di legge in questione”.

Ella sostiene che la parola “odio” è “priva di significato”, a causa della sua applicazione imprevedibile e illimitata, tale da includere “scherzi, libri, saggi, considerazioni storiche, messaggi in bacheca, vignette e poesie”.

“Ogni parola che richieda le prestazioni di un esperto e di un legale seduti davanti a un computer non è una parola definibile”.

Ella descrive gli inquirenti della CHRC per i reati di odio come individui “regolarmente in contatto con le forze di polizia riguardo ai convenuti”, che hanno ottenuto informazioni come “informative dei tribunali che contenevano i dati personali più riservati”, i dati del traffico telefonico, i dati sui veicoli a motore, quelli provenienti dala sorveglianza di polizia, le dichiarazioni dei testimoni, le prove ottenute mediante perquisizione, e le informazioni provenienti dal Canadian Police Information Centre.

Ella menziona la possibilità di accordi tra il governo federale e le province per condividere i dati personali, “il che significa che i canadesi sottoposti ad un procedimento [in base all’articolo 13] abbiano tutte le informazioni che forniscono al CHRC inviate alle forze di polizia dell’intero paese senza la loro conoscenza o il loro consenso o senza qualsivoglia avvertimento”.

Ella critica anche le pressioni extragiudiziarie che possono essere fatte ai fornitori dei servizi internet perché provvedano sui loro server contro le informazioni sospette di violare l’articolo 13.

“L’uso della censura per fermare il danno psicologico è un’arma spuntata”, che in realtà ha l’effetto opposto, ella ha scritto, perché “conduce alla discordia, non all’armonia, poiché tutti i gruppi fortemente auto-immedesimati iniziano a usare le querele per affermare i propri interessi”.

“Il Canada ha una popolazione generale con un buon rapporto con l’espressione, che apprezza il diritto all’espressione, e che non subisce il danno invocato a giustificazione [dell’articolo 13]. La stragrande maggioranza dei canadesi preferisce la discussione libera, non la censura”, ha scritto Kulaszka.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.nationalpost.com/news/story.html?id=2595475