Stefania Limiti, il Doppio Livello e i professionisti dell'antimafia


Da Paolo Cucchiarelli ricevo (via Facebook) e pubblico:
MAFIA: CAPACI; IN UN LIBRO SCENARIO ALTERNATIVO, DOPPIO LIVELLO
DUBBI DI DONADIO, CIANFERONI, TESCAROLI, SCOTTI E DI UN 'GLADIATORE'
(ANSA) - ROMA, 16 APR - E' un libro dedicato al "Doppio
livello. Come si organizza la destabilizazzione in Italia"[1]
e uscito due giorni fa a delineare un nuovo scenario per la
strage di Capaci. Uno scenario all'insegna delle ''false
bandiere'', cioè della compresenza a Capaci di realtà diverse
almeno, negli intendimenti e nelle modalità con cui la strage fu
realizzata. Uno scenario doppio, ''a trappola''.
Oltre ad una attenta analisi dei ''pezzi mancanti'' e di
quelli ''eccessivi'' nella strage del 1992 sul versante della
stessa dinamica della esplosione, il volume scritto da Stefania
Limiti e pubblicato da Chiarelettere riporta molte testimonianze
di magistrati, come Luca Tescaroli, che ha indagato sulla strage
del 1992, di Gianfranco Donadio, vice procuratore antimafia
aggiunto, di politici, come Enzo Scotti ma anche l'affermazione
choc dell'avvocato di Toto' Riina, Luca Cianferoni e di un
anonimo ma informato 'gladiatore' siciliano, un uomo ben
addentro ai cosiddetti ''misteri siciliani''.
Luca Cianferoni, legale di Toto' Riina, ipotizza una presenza
''altra'' operativa nella strage di Capaci. L'avvocato del
'capo dei capi' afferma nel libro che ''la strage di Capaci è al
90 per cento di mafia, il resto lo hanno messo gli altri, per
quella di via D'Amelio siamo al 50 e 50 per cento e per le
stragi sul continente la percentuale scende vertiginosamente''.
La dichiarazione del legale è riportata nell'ultimo capitolo del
volume, ''False bandiere a Capaci'' , e l'autrice ricorda che
già nel 2009 Riina, sempre tramite il suo legale, aveva
''ammesso di essere stato giocato'' da qualcuno.
Il volume riporta anche le tesi del Pm Luca Tescaroli che ha
parlato nelle sue sentenze su Capaci di ''rabboccamento''
dell'esplosivo utilizzato sull'autostrada Palermo-Trapani e
anche i dubbi a suo tempo maturati dall'ex ministro dell'Interno
dell'epoca, Enzo Scotti, che subito dopo la strage sorvolo'
l'autostrada. ''Scotti ricorda che gli esperti facevano fatica a
capire la dinamica, le modalità e con quali strumenti fosse
stato possibile cogliere l'istante del passaggio delle auto di
Falcone e della scorta. Nello stesso capitolo si riporta
l'intervista data dal procuratore antimafia aggiunto Gianfranco
Donadio nel maggio del 2012 a Rainews ( e visionabile su
internet) nella quale il magistrato sintetizza così i fatti: "A
Capaci c'erano due bombe".
L'uomo di Gladio, infine, spiega nel libro la sua lettura dei
fatti [e ha] raccontato di quando si recava a pesca con la figlia
piccola: ''Naturalmente - racconta - non era in grado di tirare
su pesci e allora, per farla divertire, la armavo di canna con
una lenza rivolta verso il basso e poi, sempre accanto a lei,
gettavo in acqua la mia canna aspettando che la preda abboccasse
alla mia esca. Appena sentivo che la mia canna si muoveva,
cercavo di agganciarmi alla sua lenza così che lei potesse
sentire il movimento e illudersi di aver pescato... quando
tiravamo su era così felice che certo non distingueva le due
canne ... Mi creda - dice il 'gladiatore' all'autrice - quei
poveri scemi piazzati nella casetta sopra la curva
dell'autostrada credono davvero di aver compiuto un attentato
con tutti i crismi della professionalità degna dei migliori
artificieri militari operanti in un teatro di guerra ... ma alla
fine assomigliano molto alla mia bimba … non si sono accorti che
altri, ben piu' all'altezza di tali situazioni, hanno fatto tutto
con grande capacità, lasciando a loro solo l'effimera illusione
di essere dei veri criminali ... Credo - dice ancora - che questa
tecnica sia stata applicata molte altre volte e che l'innocente
inganno della canna da pesca possa spiegare non solo i segreti
di Capaci''. (ANSA).
FINE DEL COMUNICATO ANSA
Personalmente, senza volere con ciò sminuire il libro della Limiti, mantengo tutte le mie riserve sul conto di un magistrato come Luca Tescaroli[2]. Mi sono sempre chiesto, infatti: come mai i magistrati incaricati della pubblica accusa per la strage di Capaci (Tescaroli era tra questi[3]) all’epoca non convocarono[4], neppure come persona informata sui fatti, l’andreottiano Vittorio Sbardella dopo che, sull’agenzia “Repubblica” (da non confondersi con l'omonimo quotidiano), da lui controllata, venne pubblicata, per ben due volte, nei giorni immediatamente precedenti la strage, la “predizione” che ci sarebbe stato un “bel botto”[5]? La citazione più completa del clamoroso episodio, la troviamo nella Cronologia curata da Vinciguerra per la Fondazione Cipriani (maggio 1992):

Vittorio Sbardella

21 maggio 1992:
Sull’agenzia giornalistica "Repubblica", diretta da Lando Dell’Amico, compare un primo articolo nel quale si commenta l’impossibilità di giungere ad un accordo fra i partiti per l’elezione del capo dello Stato: "C’è da temere a questo punto – si legge – che qualcuno rispolveri la tentazione tipicamente nazionale del colpo grosso. Le strategie della tensione costituiscono in questo paese una metodologia d’uso corrente in certe congiunture di blocco politico. Quando venne meno la solidarietà nazionale e il sistema appariva anche allora bloccato, ci ritrovammo davanti al rapimento Moro e alla strage della sua scorta. Non vorremmo che ci riprovassero: non certo per farci trovare un Andreotti a gestire ancora l’immobilismo del sistema (visto che i tempi sono mutati e Andreotti è politicamente deceduto) ma magari uno Spadolini e uno Scalfaro “quirinalizzati”[6].
 
22 maggio 1992:
 
Sull’agenzia "Repubblica", diretta da Lando Dell’Amico, compare un secondo articolo, dopo quello del giorno precedente (vedi nota), nel quale si scrive: "Avremo dunque la candidatura obbligata di Spadolini? Manca ancora perché passi in modo indolore questa candidatura del partito trasversale, qualcosa di drammaticamente straordinario. I partiti, cioè, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno – come ai tempi di Moro – a giustificazione di un voto d’emergenza non potrebbero accettare di autolegittimarsi"[7]. 
 
Capaci: cui prodest? Amato, Spadolini e Scalfaro ...
 
Se ricordo queste cose, naturalmente, non è per accusare Sbardella (che, oltretutto, è pure defunto): lui, all’epoca, contrariamente a quanto fatto intendere molti anni dopo da opinionisti che vanno per la maggiore, la strage cercò di evitarla (fu la Cassandra della situazione). Lui, come andreottiano, non fu un carnefice: nonostante le sue entrature nei servizi, fu una delle vittime dei complotti dell’epoca!
Ricordo tutto ciò, invece, perché, come ha più volte scritto Vinciguerra, i magistrati che indagano sulle stragi, spesso e volentieri, si guardano bene dall’interrogare certe persone  particolarmente informate sui fatti (colpevoli o innocenti – come è il caso di Sbardella – che siano)!
Salvo poi passare da eroi mediatici, riveriti e coccolati...
 
Luca Tescaroli
 
“I giudici da sempre hanno mostrato una grande scaltrezza nel riconoscere in teoria la pericolosità della mafia per le sue connessioni con il potere politico ed economico e, nel momento di passare alle prassi giudiziarie, nel perseguire costantemente la sola ala militare dell’alleanza, tenendo fuori dal loro campo d’azione l’altro corno del problema”.
Giuseppe Di Lello, Giudici. Cinquant’anni di processi di mafia, Sellerio, Palermo 1994.



[2] A parte, ovviamente, i ben più recenti casi Stormfront e Militia, dove il magistrato in questione si è messo sotto i piedi l’art. 21 della Costituzione, in totale sintonia con la lobby ebraica.
[4] Se digitate, ad esempio, sul motore di ricerca dell’archivio di “Repubblica”( http://ricerca.repubblica.it/) le parole “Sbardella” e “magistrati”, troverete moltissimi articoli (all’epoca Sbardella era finito nell’occhio del ciclone di Tangentopoli) ma non troverete nessun riferimento a Capaci …
 
[5] L’episodio è rievocato nell’intervista di Roberto Scarpinato a Marco Travaglio del 2010 (“Cento nomi nascondono i segreti delle stragi”): http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/24/dottor-roberto-scarpinato-come-nuovo/43628/
Naturalmente, l’interrogativo vale pure per Scarpinato: perché ha tirato fuori Sbardella solo 18 anni dopo i fatti?
 
[7] Ibidem.