Blue Moon contro Radio Alice: l'eroina di Stato arma letale della guerra politica


Oggi ho un’altra storia da raccontare, risalente a qualche settimana fa. Mi capita di vedere il film Lavorare con lentezza, quello sul movimento bolognese del ’77 (l’epoca di Radio Alice, dell’uccisione dello studente Francesco Lorusso ecc.). La prima cosa che mi colpisce del film è l’uso non banale del colore, così diverso da quello, amorfo e inespressivo, delle fiction televisive odierne. Un colore che riesce a dare proprio il timbro di quegli anni, così colorati e appassionati (il film è disponibile su Youtube, ma vi consiglio di acquistare comunque il dvd perché sul pc il colore è molto più “incolore”)!
Ne parlo con il mio veterinario, che è originario Bologna, e che ricordavo essere legato a quegli anni.
Mi dice che lui non è stato un ragazzo del ’77, ma solo perché all’epoca era troppo giovane: aveva 13 anni, ma dice anche che ha sempre considerato i ragazzi del movimento come i propri fratelli maggiori.
Riguardo all’uso del colore nel film, mi riferisce che il regista ha fatto una ricostruzione particolarmente accurata, al punto che le luci che si vedono nelle scene notturne sono bianche come erano all’epoca, invece che gialle, come sono ora in tutte le città italiane.
E poi mi dice che, sul movimento bolognese, c’è un dato politico che ancora oggi non riesce a spiegarsi, e cioè l’accanimento, la violenza, con cui all’epoca il governo e le forze dell’ordine repressero gli studenti, anche alla luce del fatto che Bologna all’epoca non aveva un’ala “dura” come a Roma, Torino o Milano; quella del movimento bolognese era un’anima ludica e libertaria, a cominciare dai famosi “indiani metropolitani”.


Oltretutto, aggiunge, il numero di attivisti bolognesi che passarono alla lotta armata è praticamente irrisorio. Solo due ragazzi: Maurice Bignami e un altro, molto meno famoso (Ugo Tassinari, su Facebook, obbietta che il numero fu maggiore - ricorda tra gli altri il nome di Barbara Azzaroni - anche se inferiore rispetto ad altre realtà).
Osservo che la ferocia della repressione si può spiegare col fatto che il potere, semplicemente, aborre le novità (naturalmente, quelle che non è il potere a proporre): lui annuisce, e mi dice che il giorno della morte di Lorusso, lui, a dispetto dell’età giovanissima, si trovò lì, in piazza, e certe cose se le ricorda bene.
E infatti, per tornare al film, gli ricordo che la sua osservazione viene fatta propria da quel carabiniere (interpretato da Valerio Mastandrea) che protesta col superiore perché non capisce un tale dispiegamento di mezzi:
“Questi sono casinisti, un po’ drogati e un po’ avvinazzati, ma non sono veri criminali, penso che ci dovremmo occupare d’altro, con tutto il rispetto” (citazione a memoria, non letterale).
E invece il superiore gli risponde: “Vada all’università. È un ordine. Abbiamo avuto dal governo carta bianca” (si riferiva evidentemente alla licenza di uccidere, visto che proprio da quell’operazione rimane ucciso Lorusso).

Una conferma, davvero impressionante, alla mia osservazione sulla mentalità tipica del potere vista in quegli anni la troviamo nelle parole, molto più recenti (era il 2008), utilizzate da Francesco Cossiga nei confronti degli studenti dell’Onda:
I consigli di Cossiga: infiltrare tra gli studenti agenti provocatori pronti a tutto:
http://www.senzasoste.it/politica/i-consigli-di-cossiga-infiltrare-tra-gli-studenti-agenti-provocatori-pronti-a-tutto
Parole ribadite dal Presidente “emerito” della Repubblica qualche giorno dopo:
I consigli di Cossiga alla Polizia: “Prima una vittima, poi la mano dura”
http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2009-6/cossiga-consigli/cossiga-consigli.html
Prima una vittima, poi la mano dura: la replica, insomma, della condotta utilizzata proprio da Cossiga nel ’77 e proprio a Bologna (all’epoca, era ministro dell’Interno, e non si peritò di portare in città i carrarmati)!


Ma il mio amico veterinario mi dice dell’altro: mi dice che ad un certo punto, sempre a Bologna, a Piazza Verdi (quartiere universitario) compare uno spacciatore – detto “l’Algerino” – che spaccia eroina a pochi passi dalla macchina della Digos. Anche così è stato distrutto il movimento, aggiunge: prima quella era una zona allegra (mi parla del Bar Pierino, che oggi non c’è più[1]), dopo Piazza Verdi è la piazza dove i giovani tossici vanno lì a morire.
Eroina di Stato, osservo? Il termine è tuo ma il senso è quello, dice lui.
Tutto ciò mi fa tornare in mente, per analogia, l’uso della droga fatto dal governo americano per stroncare il dissenso (a cominciare dai ghetti neri). Come aveva scritto John Kleeves, il primo studioso a far conoscere in Italia il volto subdolamente totalitario di un paese come gli Stati Uniti:
“In un paese totalitario e con molti poveri la diffusione della droga concorre in maniera abbastanza apprezzabile alla prevenzione del dissenso politico: in grande maggioranza i suoi utilizzatori fanno parte dello strato più disagiato della popolazione, risultando così politicamente inoffensivi perché completamente assorbiti dalla loro dipendenza. Va anche detto che tali elementi diventano poi un ottima fonte di obbediente e sottopagata manodopera per i più vari settori … Marx diceva: «la religione è l’oppio dei popoli»; in realtà, l’oppio dei popoli è proprio l’oppio. Così il governo statunitense, perseguendo queste finalità, non contrasta affatto il traffico di droga nel suo stesso paese, anzi addirittura lo incoraggia, limitandosi a controllarlo perché rimanga negli ambiti previsti”[2].
Va aggiunto che le Pantere Nere erano particolarmente odiate dal governo americano proprio perché facevano opera di contrasto alla diffusione di droga nei ghetti, e vennero quindi sterminate senza pietà, come ragguaglia lo stesso Kleeves[3].
Molto ci sarebbe ancora da dire sul movimento del ’77: ad esempio che, se si va a leggere i giornali d’epoca, si scopre, sorpresa, che anche allora c’era  la “crisi”, una crisi che, come quella di oggi, era il paravento per mascherare una ferocia redistribuzione della ricchezza – dai poveri ai ricchi, naturalmente.
Ma la cosa più significativa che ho scoperto, proprio in questi giorni, sugli anni della contestazione riguarda proprio l’eroina di Stato: un altro amico, giornalista d’inchiesta, mi parla dell’”Operazione Blue Moon”, di cui non sapevo nulla: si tratta proprio della diffusione governativa degli stupefacenti in Italia, mutuata sull’esempio americano. Sull’argomento segnalo due articoli del sito “Contropiano.org”:
1. L’Operazione Blue Moon
http://www.contropiano.org/cultura/item/7842-loperazione-“blue-moon

2. Operazione Blue Moon /2. La guerra non ortodossa in Italia
http://www.contropiano.org/cultura/item/7997-operazione-blue-moon/2-la-guerra-non-ortodossa-in-italia
e il seguente video, che su Youtube non ha avuto molti contatti ma che merita un’attenta visione:
Operazione Bluemoon - Eroina di Stato
http://www.youtube.com/watch?v=kywmDZVjTnw
Ancora una volta quindi l'Italia si confema, e nel modo peggiore, periferia dell'Impero.

Un momento del video sull'"Operazione Bluemoon"


[2] John Kleeves, UN PAESE PERICOLOSO – Storia non romanzata degli Stati Uniti d’America, Milano 1998, p. 272.
[3] Ivi, p. 271.