In morte di Gerardo D'Ambrosio. Ti ricordi di Piazza Fontana?



Gerardo D'Ambrosio, Milano 1971: sopralluogo nel cortile della Questura per la morte dell'anarchico Pinelli
Per commemorare – a modo nostro – la scomparsa del magistrato Gerardo D’Ambrosio abbiamo deciso di rilanciare un vecchio ma sempre valido pezzo trovato sul sito della benemerita Fondazione Cipriani (le sottolineature in grassetto sono mie).
Dal sito della Fondazione Cipriani:
http://www.fondazionecipriani.it/Riflessioni/piazza_fontana.htm
Ti ricordi di piazza Fontana? (maggio2005)
Annunciato nel suo contenuto dalla sentenza di assoluzione in appello, è giunto il verdetto definitivo della Cassazione sulla strage di piazza Fontana, a 35 anni di distanza. Che c’entra con le guerre americane? Moltissimo, come ricordiamo ai nostri lettori rinviando alla lettura del file ’12 dicembre 1969’, della Cronologia storica, degli scritti di Luigi Cipriani, su questo stesso sito.
Nessun colpevole, tranne coloro che non erano imputati nel processo per essere stati assolti con sentenza passata in giudicato, le spie del Sid Franco Freda e Giovanni Ventura; con la affermazione che il brodo di coltura fu l’ambito della estrema destra, senza porne in rilievo i legami con gli apparati di Stato. Un avvocato di parte civile ha segnalato alcune incongruenze della sentenza (la motivazione non è ancora disponibile), come quella di aver considerato attendibile l’infiltrato Carlo Digilio quando ha accusato se stesso - oramai non punibile- e non quando ha accusato gli altri imputati, invece punibili. Nessun condannato dunque, tranne le parti civili  al pagamento delle spese processuali: avete disturbato lo Stato per 35 anni e mezzo, con le vostre noiose petulanze e richieste di verità? Eccovi serviti, a monito di futuri disturbatori della quiete pubblica, caso capitasse qualche altra stragetta necessaria alla ‘esportazione della democrazia’ e al bene del paese. Monito chiaro, che non sarà soppresso dalla eventuale rimozione di quest’ultima abnormità.
Annunciata, la sentenza finale, da 35 anni di processi spezzettati nei quali la magistratura (con la eccezione del gip Guido Salvini, costretto peraltro a fermarsi a un certo punto da un concentrico feroce attacco) ha fatto di tutto per negare la verità. Pista anarchica indagata dai giudici di Roma; pista nera, da quelli veneti; pista nero- anarchica, a Catanzaro; pista Delle Chiaie – Fachini; pista ordinovista veneta, infine, non collegata ai gruppi lombardi fratelli. Processi frammentati, dove ogni singola vicenda è stata indagata a sé, ignorandosi volutamente le connessioni del disegno stragista che risultavano con chiarezza dall’intreccio fra i gruppi indagati, quei gruppi della destra infiltrati dallo Stato che si muovevano preordinando attentati e provocazioni in simbiosi fra loro, dal ricorrere persino degli stessi nominativi degli imputati, come avvenne da ultimo nei due processi paralleli, appena terminati con le assoluzioni, per la strage di piazza Fontana e quella alla Questura di Milano. Eppure tante informative, che riportiamo nella Cronologia storica su questo sito (vedi digitando la voce ‘Controllo politico di Stato e informative’) mostravano con abbondanza di dettagli lo stretto legame esistente fra Ordine nuovo, Avanguardia Nazionale, Fronte nazionale, Mar, Gan; degli stessi con il Msi, che giungevano al travaso di esponenti da un gruppo all’altro e con lo stesso Msi; di tutti con gli apparati dello Stato, coi quali erano stabilmente collegati ed inseriti, fra gli altri, Edgardo Beltrametti, Junio Valerio Borghese, Guido Giannettini; in stabile contatto ancora con l’Aginter Press di Yves Guerin Serac, la centrale terroristica europea legata alla Cia che, già nel 1968, dettava istruzioni su “azioni di forza che sembreranno fatte dai nostri avversari”. Totalmente esclusa da ogni indagine tranne quella di Salvini. Come fu totalmente escluso il Msi, persino quando la ripetizione del disegno criminale (la strage da attribuirsi alla sinistra ed una successiva manifestazione di destra che avrebbe dovuto causare incidenti e reazioni di piazza, tali da provocare quella domanda d’ordine che avrebbe giustificato la creazione di uno stato di emergenza), già previsto nel dicembre 1969 con la strage del 12 e la manifestazione missina del 14, vietata all’ultimo momento, si ripetè in identico modo nell’aprile 1973, con la fallita strage al treno di Nico Azzi - esponente con Giancarlo Rognoni del gruppo ‘La Fenice’ stabilmente intrecciato col partito - e la successiva manifestazione missina degenerata in preordinati incidenti nei quali perse la vita un agente di Ps. Un osservatore attento avrebbe colto il nesso, non la magistratura, non quel Gerardo D’Ambrosio che ora si dichiara addolorato per l’esito processuale e cerca di accreditarsi come colui che perseguì con tenacia la verità e che inquisì anche gli agenti depistatori, fidandosi della scarsa memoria di chi lo ascolta, della disinformazione e dalla buona pubblicità che la stampa gli ha sempre tributato.
Si deve invece ricordare che fu proprio lui ed il foro milanese ad ignorare le connessioni che avrebbero portato ad incriminazioni ben diversamente solide, motivate e supportate da prove. Che fu lui ad assolvere ‘per non aver commesso il fatto’ i missini Servello e Petronio, indicati da Vittorio Loi e Maurizio Murelli come gli organizzatori degli incidenti. Ancora lui l’ideatore del ‘malore attivo’ dell’anarchico Giuseppe Pinelli, volato dalla finestra della Questura di Milano, ‘malore’ utile a chiudere le indagini sulla costruzione del depistaggio e quindi negare le responsabilità di Stato nella strage, oltre che nella morte di Pinelli. Sempre lui a dichiarare il ‘non doversi procedere’ a carico di Elvio Catenacci e Antonino Allegra, rispettivamente ex direttore degli Affari riservati e dirigente della Questura milanese, scrivendo “è pacifico che i pubblici ufficiali commisero i fatti loro addebitati” ma “le omissioni da una parte non furono rilevanti, dall’altra non avvennero con la piena coscienza dell’illiceità del fatto”. Le prove sulle borse acquistate a Padova ed i timer, occultate dagli ufficiali depistatori, avrebbero consentito di inchiodare Franco Freda e Giovanni Ventura in tempo utile, ma la condanna dei due spioni avrebbe portato diritto al vertice del Sid che, non certo per caso, predisponeva la loro evasione. Fu solo in sede di audizione in Commissione stragi che il giudice Luigi Fiasconaro dichiarò : “I funzionari del Sid che noi abbiamo sentito hanno mentito regolarmente a ogni audizione fatta, non hanno mai detto mezza verità”. Già, e vennero assolti.
La pista confusa e ideologica, tesa ad accreditare il ‘mostro nero’ che avrebbe ucciso per odio verso la democrazia, aiutato non si sa bene perché da qualche ‘agente deviato’, ha costituito il maggior depistaggio predisposto dalla magistratura, premessa per giungere all’esito finale: nessun colpevole. Nessuno, neppure gli esecutori, per rescindere il filo che portava dritto al cuore dello Stato suddito dell’America. Non uno degli imputati, difatti, era estraneo al servizio. E quando il giudice Guido Salvini ed il capitano dei Ros Massimo Giraudo si avvicinarono pericolosamente al cuore del problema inquadrando il disegno stragista nella guerra fredda e nell’azione dei servizi interni ed internazionali, ecco un altro ‘campione di verità’, il giudice veneziano Felice Casson (formalmente attivatosi su un esposto di Carlo Maria Maggi, reggente di On per il Triveneto ed informatore dei servizi) cominciare il tiro al piccione contro di loro, ancora aiutato nell’opera dai giudici milanesi. Azione di impallinamento simile a quella condotta in precedenza dallo stesso Casson contro Vincenzo Vinciguerra - l’attentatore di Peteano che, dopo aver rivendicato la sua azione, smascherò in maniera perfetta i depistaggi degli apparati di Stato - per impedire che le verità da lui denunciate venissero credute, fermare le indagini ai livelli bassi ed accreditarsi per giunta come scopritore di verità. (Per incidens, bel candidato sindaco hanno scelto di sostenere gli eredi della fu sinistra antagonista- antagonisti a che cosa oramai? - Jattura fortunatamente evitata da veneziani più saggi, accorsi a votare per il concorrente).
Ma la verità oramai l’abbiamo, a dispetto dei giudici assolutori. La maggior parte degli elementi per comporre il mosaico si può ricavare proprio dalle inchieste giudiziarie, dalle tante testimonianze raccolte, a condizione però di comporlo autonomamente, depurandolo dalle interpretazioni minimaliste o ideologiche dei giudici stessi, tese a scagionare lo Stato, sostituendole con una diversa chiave di lettura. Chiave che si può sintetizzare con una dichiarazione di Vincenzo Vinciguerra (riportata dal giudice Antonio Lombardi nella sentenza istruttoria sulla strage di via Fatebenefratelli, 1998): “Mentre non esiste la prova che in Italia si sia ipotizzato un colpo di Stato, esistono tutte le prove che in più occasioni, dagli anni Sessanta in poi, negli ambienti politici e militari detentori del potere, si è suggerito e cercato il provvedimento di necessità che temporaneamente sospende le garanzie costituzionali e permette la emissione di provvedimenti eccezionali…Come hanno cercato lo stato di necessità? Operando su due direttrici: l’azione diretta affidata a civili inseriti in una struttura mista, o reclutati negli ambiti più fervidamente anticomunisti; l’omissione o la copertura affidata ai centri di controspionaggio”, con finalità e mediante un meccanismo  preciso: “Attraverso gravi provocazioni innescare una risposta popolare di rabbia da utilizzare per una successiva repressione. Il fine massimo era poi quello di giungere alla promulgazione di leggi eccezionali o alla dichiarazione dello stato di emergenza”. Il disegno stragista è maturato ad altissimi livelli, interno ed internazionale insieme, indissolubilmente legati fra loro: “E’ chiaro che i due profili, impropriamente definiti dalla stampa pista interna e pista esterna si pongono in rapporto non di autonomia ma di complementarietà – così Guido Salvini nella sua sentenza istruttoria, esposta sulla rete – poiché all’epoca nella medesima direzione era orientata la strategia globale degli apparati istituzionali del nostro paese, e di quelle dei paesi alleati”.
E qui sta la tragedia del nostro paese, dell’Europa e del mondo intero: la dominazione del gigante guerrafondaio, autore di genocidi e stragi che non sono certo finiti con la sconfitta del comunismo, subito sostituito con un nuovo nemico. La tragedia si chiama ‘esportazione della democrazia’, alla quale i ‘rappresentanti del popolo’ quasi all’unisono s’inchinano.
Immagine tratta dal sito di Beppe Grillo