Enrico De Boccard tra Salò e Sade: solo una coincidenza con il film di Pasolini?



Pier Paolo Pasolini mentre dirige Salò-Sade


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ENRICO DE BOCCARD TRA SALÒ E SADE: SOLO UNA COINCIDENZA CON IL FILM DI PASOLINI?

Di Andrea Carancini

In questi giorni sta per scoccare il quarantennale dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto il 2 novembre 1975. 

Ma, sempre in questi giorni, sta per scoccare anche il quarantennale dell’uscita del suo ultimo film: Salò o le 120 Giornate di Sodoma.

Da un certo punto di vista, non sono stati 40 anni passati invano: in questi decenni, e direi soprattutto in questi ultimi anni, abbiamo assistito ad una fioritura di studi e ricerche che hanno gettato talvolta squarci di luce importanti sulla vita e l’opera di Pasolini.

Mi sembra però che il territorio meno conosciuto continui ad essere il suo ultimo film.

Che c’entra Salò con il marchese de Sade? Qual è il nesso? Mi pare che nessuno finora abbia dato una risposta esaustiva a questa domanda. 

Breve digressione personale: da ragazzino, sono stato uno dei pochissimi italiani a vedere, tra un sequestro e l’altro, il film. Lo vidi a Roma, al Filmstudio, uno di quei cineclub dove facevano entrare senza problemi anche i minorenni. Anch’io allora mi chiesi: che relazione c’è tra Salò e Sade? Ogni tanto, in questi decenni, ho continuato a domandarmelo.

Forse, la risposta può aiutarci a comprendere non solo il senso del film ma anche qualcosa della morte di Pasolini.

La prima cosa da dire è che l’ultimo romanzo di Pasolini, Petrolio, e il suo ultimo film sono due opere profondamente legate e non certo per i motivi addotti da una certa pubblicistica, che ne identifica in toto i contenuti – abusivamente e surrettiziamente – con il vissuto personale del poeta.

Entrambi infatti hanno come argomento quella che Pasolini chiamava “l’anarchia del Potere”, sia pure vista da due visuali diverse (la politica omicida in Petrolio, il sesso omicida in Salò-Sade).

Mentre però in questi anni contributi importanti hanno reso Petrolio meno criptico[1], svelando un insospettabile reticolo di riferimenti alla realtà storica degli anni ’70, nessuno studio è stato fatto per rintracciare eventuali, analoghi riferimenti nel film: per capire cioè se il regista, nel ritrarre i quattro notabili-aguzzini protagonisti si sia ispirato, quanto meno come spunto, come scaturigine, a personaggi e/o situazioni reali.

Anche perché, occorre dire, è stato lo stesso Pasolini a dire che il film «è privo di psicologia, e quindi di dati anagrafici reali»[2].

Ritengo però che il problema bisognerebbe porselo, visto che nessuno, ripeto, a cominciare dai critici cinematografici, ha spiegato perché, per ritrarre il “nuovo fascismo” a lui contemporaneo, l’autore si sia servito, come metafora, di quello vecchio

Gianni Borgna, in quel bel libro che è Una lunga incomprensione[3], ha scritto infatti che l’ambientazione repubblichina è “una metafora”[4], anzi, “poco più che un pretesto”:

«L’oggetto del contendere era, dietro metafora, l’attuale società dei consumi, quella che Pasolini non a caso definiva il «nuovo fascismo», per certi versi più pervasivo e insidioso del vecchio»[5].

Ma, come ha scritto Alberto Brodesco nella sua tesi di dottorato Lo sguardo in abisso[6], Pasolini si decise a fare il film solo quando ritenne di poter associare al testo di Sade lo scenario repubblichino:

«Il lavoro sul romanzo di Sade inizia a convincere Pasolini quando ha l'intuizione di trasportare l'azione dal Settecento ai giorni della Repubblica di Salò … è l'intuizione di trasporre l'ambientazione del romanzo all'epoca della Repubblica Sociale Italiana a convincere definitivamente Pasolini del progetto sul romanzo di Sade»[7].

Ma cos’è che ha fatto scattare questa intuizione?

Che la Repubblica di Salò sia una metafora va bene, ma perché Pasolini ha scelto proprio questa metafora (invece di, poniamo, ambientare il testo di Sade nell’Italia a lui contemporanea)?

Non dimentichiamo che il “nuovo fascismo” di cui stiamo parlando è anche quello delle bombe e delle stragi che, proprio negli anni ‘70, stavano insanguinando il paese, e che l’autore studiava con particolare attenzione.

Lisa D’Ignazio, a proposito di Petrolio, ha parlato della «poetica dell’illeggibilità e dell’indecifrabilità»:
«Il lavoro di decriptare il testo, richiesto più volte da Pasolini al lettore (secondo l’autore l’oggetto si ricreerà nella testa del lettore, che prega di accettare queste confidenze) coinvolge principalmente due aspetti: quello storico-politico e quello filologico»[8].

Questa poetica, a quanto pare, riguarda anche il film: Pasolini stesso lo ha definito
«Un mistero … un mistery»[9].

E allora, è possibile che anche qui ci siano, per quanto indiretti, dei riferimenti storico-politici da decifrare?
A me, il nome che viene in mente è quello del barone Enrico De Boccard.


Enrico De Boccard è stato un giornalista di una certa fama a cavallo degli anni ’60 e ’70, noto per le sue collaborazioni a giornali di destra tipici di quel periodo come “Lo Specchio”. 

Ma soprattutto è stato un’eminenza grigia: della Repubblica di Salò prima e della Repubblica italiana poi.
Uno che i “misteri” italiani li conosceva dal di dentro.

Per introdurre meglio il nostro personaggio, direi di riprenderne alcuni dati biografici così come vengono riportati nella presentazione scritta a suo tempo dallo storico Francesco Perfetti per Il passo dei repubblichini, una raccolta di memorie in cui l’autore – De Boccard, appunto – ricostruiva le vicende dei reduci del fascismo nell’immediato dopoguerra[10].

La prima notizia importante che apprendiamo è che, al momento della costituzione della Rsi, De Boccard si era arruolato nella Guardia nazionale repubblicana; poi, dall’ottobre 1943 al gennaio 1944 era stato in forza al battaglione M e, successivamente, sino alla fine della guerra, alle dipendenze del comando divisione Etna di Brescia[11].

Per chiarirci: la Guardia nazionale repubblicana, come scrive Wikipedia, 

«era destinata teoricamente ai compiti propri dei Carabinieri (ordine pubblico e controllo del territorio) e della Milizia (nelle sue varie specialità) ma in realtà prese parte soprattutto alla lotta repressiva contro le forze partigiane della Resistenza italiana, partecipando a rastrellamenti e devastazioni accanto alle forze tedesche … Durante le operazioni di repressione contro i reparti partigiani fu protagonista di rappresaglie contro la popolazione civile, tra i quali l'eccidio di Montemaggio, quello di Scalvaia e quello di Maiano Lavacchio, oltre a cooperare con le forze armate tedesche in molteplici casi, come nella strage di Vallucciole e Stia»[12].  






La seconda notizia importante su De Boccard è che, nell’immediato dopoguerra, era entrato nei Far, o Fasci di azione rivoluzionaria[13], prendendo parte, tra l’altro, all’irruzione nella cabina Rai di Monte Mario[14].

Per il resto, diamo pure la parola a Perfetti:

«Nato da una famiglia di origine savoiarda, de Boccard (1921-1988) svolse la propria attività giornalistica in molte testate, ma con una certa continuità soprattutto sul settimanale “Lo Specchio” (1958-1967) e sul mensile “Playmen” (1968-1972), diresse il mensile di divulgazione scientifica “Roger” (1973), fu redattore di “Tuttoquotidiano” (1974-1976), fondò la prima società di servizi televisivi, “Telemega” (1967) e, in collaborazione con il quotidiano “Il Tempo”, creò la Video Self Service (1972), una società nota per aver realizzato il primo telegiornale indi- pendente mandato in onda per una sola settimana, prima dell’intervento del Ministero delle Poste, nella romana Galleria Colonna. Nella memoria comune, probabilmente, il nome di de Boccard evoca più le sue avventure o disavventure politiche - i rapporti con il Sid e il Sifar, l’organizzazione del famoso convegno sulla “guerra rivoluzionaria” del 1965, il coinvolgimento nelle inchieste penali (dalle quali, peraltro, uscì sempre prosciolto) sul terrorismo di destra - che non la sua pur intensa attività giornalistica. Eppure le sue cronache mondane, frizzanti e garbate, pettegole e irriverenti, hanno lasciato il segno e hanno dato il via a un genere di giornalismo solo in apparenza leggero: e per esse, piacevoli com’erano i servizi di Fusco, egli è ancora ricordato da molti colleghi, che pur non ritrovandosi nelle sue idee politiche, ne riconoscevano la genialità e la felicità di scrittura. Ma, a differenza di [Giancarlo] Fusco, autore di romanzi gustosissimi e di ricostruzioni storiche e di costume spesso derivate dalla raccolta di articoli “seriali”, de Boccard non ha lasciato volumi, a parte il rammentato Donne e mitra (1950, poi 1995), un brioso Dizionario della letteratura erotica (1977), una singolare “edizione critica” di un celebre testo goliardico, Il processo di Sculacciabuchi (1971), e qualche curatela di romanzi del suo amato Emilio Salgari».[15]
 
Quindi, ricapitolando, dopo la Gnr e i Far, troviamo De Boccard in rapporti con il Sid/Sifar, quindi organizzatore del famoso (famigerato) convegno del 1965 e infine coinvolto nelle inchieste penali sul terrorismo di destra (prosciolto, naturalmente). 


In più, sul versante pubblicistico, oltre agli inevitabili (dato l’orientamento politico) “Lo Specchio” e “Il Tempo”, anche uno spiccato interesse per un certo tipo di erotismo: “Playmen” e il Dizionario della letteratura erotica (edito sempre da Playmen).


Insomma, un personaggio che sembrava fatto apposta per concentrare nella sua persona tutte le caratteristiche del Potere (quello con la P maiuscola) che Pasolini studiava e descriveva in quegli anni: la ferocia repubblichina travasata in quella repubblicana, i servizi “deviati”, la strategia della tensione. E un certo tipo di erotismo “emancipato”, dietro cui si intravedono vecchi demoni libertini …

Ma focalizziamo ulteriormente il nostro obbiettivo: De Boccard infatti è uno di quei personaggi che più si osservano da vicino e più le notizie si fanno interessanti – e inquietanti.

Abbiamo già detto del convegno dell’Istituto Pollio sulla guerra non ortodossa, di cui ebbe a tenere la relazione di apertura: un fatto da cui emerge la sua caratteristica di fiduciario, oltre che del Sifar/Sid, dello Stato Maggiore della Difesa (vero organizzatore di quel convegno).

Dalla pubblicistica più qualificata sull’argomento (Giannuli, Cucchiarelli) abbiamo quindi appreso le seguenti notizie, riferite al periodo tra l’immediato dopoguerra e gli anni ’70. 

De Boccard viene descritto come:

1.       «Elemento di rilievo»[16] del Pdf (Partito fascista democratico, clandestino ma, a quanto pare, parzialmente tollerato) nonché «reclutatore delle Sam» (il braccio armato del Pdf);
2.       «Collaboratore dell’Oas» (Organisation Armée Secrète, la famosa organizzazione clandestina francese)[17] e «molto prossimo»[18] al Ns (Noto servizio, il servizio segreto clandestino controllato da Andreotti);
3.       «Assai prossimo»[19] a Ordine nuovo;
4.       «Presumibilmente»[20] direttore generale dell’Istituto Pollio;
5.       «Il primo a proporre la costituzione dei NDS»[21] (Nuclei per la difesa dello Stato, le strutture paramilitari coperte dei diversi gruppi dell’estrema Destra);
6.       «Tra i pochi destinatari»[22] della lettera-testamento del principe Borghese (in cui costui rivendicava di aver fondato il Fronte nazionale con l’assenso della Cia).


Insomma, non s’è fatto mancare niente. 

Ma la notizia più interessante, dal nostro punto di vista (e cioè quello della genesi del film di Pasolini) è che, durante la Rsi, De Boccard era stato «ufficiale in forza ai servizi informativi della Gnr»[23].

I servizi informativi della Gnr: in pratica, il servizio segreto militare della Repubblica di Salò!

D’altra parte, sul versante pornografico – e questa è una notizia che ho scoperto io, non riportata da nessun biografo del personaggio in questione – lo troviamo, a cavallo degli anni ’60 e ’70 a dirigere una collana di un oscuro editore torinese, Dellavalle editore. 

Una collana intitolata Inferno: “testi scelti e curati da Enrico De Boccard” (così leggo dalla seconda di copertina de “Le Centocinquanta Passioni Semplici”).

L’elenco completo (12 titoli) lo potete trovare sul Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale:

http://www.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&resultForward=opac/iccu/brief.jsp&from=1&nentries=50&searchForm=opac/iccu/error.jsp&do_cmd=search_show_cmd&item:8005:Collezione::@and@=IT\ICCU\SBL\0418751
 
Tra questi, sorpresa, ben quattro volumi sono del marchese De Sade, e tutti e quattro relativi a una sola opera: proprio le 120 Giornate di Sodoma (l’edizione integrale, in tre volumi, e un estratto intitolato appunto Le 150 passioni semplici)!

Ufficiale dei servizi segreti repubblichini e cultore del marchese de Sade: Salò-Sade, eccolo il collegamento!

Dunque, l’accostamento, operato da Pasolini, tra la crudeltà materiale di certi esponenti della Repubblica di Salò e la crudeltà mentale di certa letteratura libertina del Settecento non è così arbitrario e gratuitamente provocatorio come a molti è sembrato.


E quindi, la coincidenza tra la singolare vicenda biografica e letteraria di Enrico De Boccard e il film di Pasolini, come si dice in questi casi, se non è vera è ben trovata.

Ed è impressionante, per quanto finora, mi sembra, inosservata.

Una coincidenza che invece non è passata inosservata è quella tra le violenze descritte nel film e quelle subite dallo stesso Pasolini.

Uno degli sceneggiatori del film, il regista Pupi Avati, ha infatti scritto:

«Il fatto è che le modalità della sua morte mi sono sempre sembrate talmente riconducibili alla violenza di quella sceneggiatura che il solo pensiero di avere avuto un qualche ruolo in quella vicenda mi atterrisce”»[24].

C’è infine una terza coincidenza: quella riguardante l’ultimo film di Pasolini e l’ultimo film di un altro celebre regista, Stanley Kubrick: Eyes Wide Shut.

Guarda caso, un altro film che ha per oggetto l’anarchia del Potere.

Anche per Kubrick si è parlato di un possibile collegamento fra l’opera che stava finendo di girare e la morte improvvisa[25].

E in effetti sembra che la morte dei due registi sia legata anche nel modo alla violenza descritta nei rispettivi film: esplicitamente atroce quella di Pasolini, discreta e misteriosa – e lasciata all’immaginazione – quella di Kubrick.

Solo coincidenze? Se non lo fossero non mi meraviglierebbe: il Potere ama scrutare ma non tollera di essere scrutato. 

Il cadavere di Pasolini


Un fotogramma di "Eyes wide shut"
 


[1] Oltre a quelli di Walter Siti e Silvia De Laude, curatori dell’edizione Oscar Mondadori, anche quelli di Lisa D’Ignazio e di Davide Nota. Quest’ultimo, con argomenti convincenti, ha ravvisato nel protagonista del romanzo, Carlo Valletti, anche alcuni aspetti della vicenda biografica e familiare del poeta Antonio Porta (alias Leo Paolazzi): Davide Nota, L’ENIGMA PAOLAZZI – Novissimi, Gruppo ’63 e strategia della tensione culturale. In rete: http://www.scribd.com/doc/194783725/Davide-Nota-L-ENIGMA-PAOLAZZI-Novissimi-Gruppo-63-e-Strategia-della-tensione-culturale
[2] Nel documentario di Giuseppe Bertolucci, Pasolini prossimo nostro, 2006.
[3] Adalberto Baldoni e Gianni Borgna, Una lunga incomprensione – Pasolini fra Destra e Sinistra, Firenze 2010.
[4] Ivi, p. 85.
[5] Ivi, p. 115.
[6] Alberto Brodesco, Lo sguardo in abisso. Il cinema sadiano e i limiti del rappresentabile, Università degli Studi di Udine, anno accademico 2011-2012.
[7] Ivi, p. 116, p. 119.
[9] Alberto Brodesco, op. cit., p. 115
[10] Enrico De Boccard, Il passo dei repubblichini, edizione a cura del giornale Libero, in collaborazione con le Lettere, ottobre 2006.
[11] Ivi, p. 9.
[14] Enrico De Boccard, op. cit., p. 10.
[15] Ivi, pp. 6-7.
[16] Aldo Giannuli, Il noto servizio – le spie di Giulio Andreotti, Roma 2013, p. 38, p. 101.
[18] Aldo Giannuli, op. cit., p. 54.
[19] Ivi, p. 101.
[20] Ivi, p. 102.
[21] Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Milano 2012, p. 503.
[22] Aldo Giannuli, op. cit., p. 130.
[23] Ivi, p. 38.
[24] Pupi Avati, La grande invenzione – Un’autobiografia, Milano 2014, p. 204.
[25] Vedi, tra gli altri, l’articolo Londra orge con omicidi nelle ville dei masso-capitalisti e la morte di Stanley Kubrick. In rete: http://www.iskrae.eu/?p=25029#sthash.tK2GyXRC.dpuf