Mauro Rostagno, Ilaria Alpi, il socialismo, i servizi e la Somalia


Mauro Rostagno intervista Paolo Borsellino

Dal sito lombardia.indymedia.org:

https://web.archive.org/web/20121120175149/http://lombardia.indymedia.org/node/47942

 

MAURO ROSTAGNO, ILARIA ALPI, IL SOCIALISMO, I SERVIZI E LA SOMALIA


giovedì, 4 ottobre 2012
autore:
Rsp individualità Anarchiche
Mauro Rostagno, Ilaria Alpi, il Socialismo, i Servizi e la Somalia
Nella penultima udienza del processo Rostagno è comparso in aula Angelo Siino (pentito, ex collaboratore e “ministro” dei lavori pubblici di Totò Riina, ovvero colui che si occupava di gestire appalti) che parla del mandato di uccisione del giornalista e sociologo piemontese per mano di cosa nostra.
A quanto pare Rostagno era a conoscenza di inciuci tra la mafia e le logge massoniche trapanesi e per questo considerato “arrivato” (cioè talmente scomodo da essere ucciso).
E’ la svolta del processo per il delitto di Mauro Rostagno, perchè per la prima volta c’è un riscontro concreto su un preciso “danno” che Rostagno aveva prodotto alle connessioni più pericolose esistenti nel trapanese, quelle tra mafia e massoneria, i cosidetti, veri, “poteri forti”, ma il 1 marzo, a 24 ore dall’udienza in cui ha deposto il pentito Angelo Siino, i giornali, che scrivono del dibattimento, preferiscono fare sapere a chi legge che c’erano semmai “corna da rompere” riprendendo l’affermazione che secondo Siino fu usata dal patriarca della mafia belicina Francesco Messina Denaro quando con lui parlò del fastidio che aveva nei confronti degli editoriali in tv, da Rtc, di Mauro Rostagno. Nessun cenno al nome invece venuto fuori, e nemmeno per la prima volta, del gran maestro della P2 Licio Gelli, non come “evocazione” di un fantasma o di una figura incerta, così come era accaduto in altre udienze, durante le quali come ipotesi si era prospettata la circostanza che Rostagno aveva saputo di una presenza a Trapani del gran maestro della P2, ma con tanto di precisione. Siino ha infatti riferito di un passaggio “trapanese” di Licio Gelli, indicandone non solo il periodo ma anche la ragione.
Il 26/9/2012 si svolge l'udienza sull'ucisione di Rostagno nell’aula «Falcone» del Palazzo di Giustizia di Trapani, davanti alla Corte di Assise, per il delitto di Mauro Rostagno i due conclamati mafiosi, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, servirebbe certamente come materiale per un convegno documentato e approfondito sui tanti «misteri» che ruotano ancora attorno alla città, a proposito di commistioni tra mafia, massoneria, servizi segreti, deviati e non deviati, traffici di armi e droga con coperture eccezionali, Gladio che a fine anni ’80 si impianta qui perchè il governo dell’epoca individuò nella Libia il «nuovo» pericolo, dopo che Gladio era nata per combattere una eventuale invasione comunista. Gladio che come unica informativa produsse un rapporto su un ipotetico spaccio di droga dentro la Comunità Saman. E quindi non è inverosimile che Rostagno sia stato ucciso da una «mafia» che si è sentita fin troppo scoperta.
I risvolti di quella indagine operazione «Codice Rosso» (l’inchiesta che colpì come presunti mandanti ed esecutori, e favoreggiatori del delitto Rostagno, membri della comunità da lui fondata) sono clamorosi: dopo i primi arresti (la cosidetta pista interna Saman), il proseguo dell’inchiesta cominciò a toccare un sistema di connessioni «pesanti». Escono fuori antichi verbali, mai opportunamente considerati (agli atti mancano anche informative della Digos), su traffici di armi e droga con «coperture» militari fatte a Birgi, l’autorità aeronautica che disconosce l’esistenza del vecchio aeroporto di Kinisia (quello oggi usato come campo di accoglienza per i profughi arrivati a Lampedusa), il segreto di stato che impedisce di conoscere il lavoro di alcuni generali e alti ufficiali a Trapani (Emilio Battiati, Emilio Migliozzi, Giuseppe Grignoco, Ezio Pagani, Carlo Blandini, Vittorio Zardo, Enzo, Massenta). I vecchi verbali raccontano di traffici di droga e di armi gestiti dalla potente mafia trapanese, un investigatore ha firmato un verbale dove parla di interessi della cosca Trapanese, il pentito di Mazara, Sinacori, racconta che di un paio di questi traffici ha avuto precisa certezza, ma la cosa clamorosa è che negli anni ’80 sarebbero stati militari in servizio a Birgi a coprire questi affari. E negli anni di Rostagno? Il traffico avrebbe avuto coperture più importanti, politicamente targati, Partito Socialista in particolare, “non quello di oggi (dice un investigatore) ma quello dell’epoca, molto potente in Italia”. E come nel gioco delle casualità che tanto casuali non sono spunta fuori il maggiore dei referenti del Garofano che c’era a Trapani.
L’uomo più vicino a Bettino Craxi leader maximo dei socialisti italiani era proprio Francesco Cardella, il guru della Saman e nella sua testimonianza il vice questore Pampillonia ha fatto cenno al ruolo che avrebbe avuto Francesco Cardella: avrebbe utilizzato "le scatole vuote della struttura, per gestire traffici di armi con la Somalia, dove il guru avrebbe inviato un suo emissario, ufficialmente, per realizzare un ospedale mai però costruito". Il nome è quello di Giuseppe Cammisa detto Jupiter, l’uomo più intimo con Cardella, imparentato con l’avv. Antonio Messina, boss del narcotraffico di Campobello di Mazara, Cammisa in Somalia fu l’ultimo a incontrare la giornalista Rai Ilaria Alpi prima che questa fosse uccisa. In quelle stesse strade somale al tempo girava anche il maresciallo del Sismi, l’allora servizio segreto militare, Vincenzo Li Causi, guarda caso il capo centro di Gladio a Trapani, ucciso a Mogadiscio dal cosidetto fuoco amico. Sullo sfondo del delitto Rostagno, ci sarebbe "un intreccio tra mafia, massoneria, servizi segreti e traffico di armi". Il vice questore Pampillonia ha parlato per più di 8 ore: rispondendo alle domande della difesa, ha ricostruito i riscontri incrociati ottenuti durante le indagini cordinate dal procuratore di Trapani dell'epoca Gianfranco Garofalo. Il teste, riferendosi alla base militare in disuso di Kinisia ha ricordato di aver eseguito dei sopralluoghi assieme a Sergio Di Cori, un giornalista, amico di Rostagno, che avrebbe ricevuto da quest'ultimo confidenze su un traffico di armi tra l'Italia e la Somalia, filmato con una videocamera proprio in quei luoghi. Nell’udienza di ieri è saltato fuori anche il famoso fax mandato da Cardella a Rostagno, dove lo definiva «pericoloso» e lo cacciava via dalla residenza dei dirigenti della comunità. Non è vero che Chicca Roveri lo fece distruggere, questo fax risulta già agli atti d’indagine negli anni ’90, ne parlò dapprima Cardella e poi la Roveri, l’ordine, eventuale, di distruzione, dato a metà degli anni ’90 da Chicca Roveri sarebbe stato inutile.
Nel 2002, i consulenti della Procura di Palermo che indagavano sul delitto di Mauro Rostagno non erano riusciti neanche ad entrare nella sede romana del Sisde. E per 10 anni, la richiesta di acquisire documenti dall'archivio dei servizi segreti è rimasta lettera morta. Fino a quando il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, diretto dal prefetto Gianni De Gennaro, ha comunicato ai magistrati di Palermo che la loro istanza era stata accolta. Così, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, i sostituti Gaetano Paci e Francesco Del Bene sono stati ricevuti prima nella sede dell'Aisi, poi in quella dell'Aise, gli ex Sisde e Sismi, i servizi segreti civili e militari. I magistrati sono tornati a Palermo con un centinaio di documenti, acquisiti nell'ambito dell'indagine "stralcio" sulla morte del giornalista sociologo, quella che sta cercando di fare luce sui mandanti e i complici occulti dell'assassinio del 1988.
Ma cosa conservavano i servizi segreti sulla morte di Mauro Rostagno? Già 20 anni fa, la richiesta dei magistrati agli 007 era stata chiara: "Si chiede di acquisire informazioni dagli atti d'archivio che possano confermare collegamenti fra la scomparsa di Rostagno e traffici internazionali di armi, con particolare riferimento ai traffici fra Italia e Somalia". E ancora: "Eventuali collegamenti fra la scomparsa di Rostagno e l'omicidio in Somalia della giornalista Ilaria Alpi". I magistrati chiedevano poi chiarimenti sul centro "Scorpione" di Trapani, un'articolazione della struttura segreta Gladio, che operò in Sicilia fra il 1987 e il '90. Perché non è ancora chiaro cosa abbia fatto davvero Gladio a Trapani. Gli ex responsabili della struttura, interrogati anni fa, non hanno chiarito il giallo. Anzi, l'hanno alimentato.
Il colonnello Paolo Fornaro ha spiegato di essere stato inviato in Sicilia per "impiantare un'azione di contrasto contro la criminalità organizzata". Il suo successore, il maresciallo Vincenzo Li Causi, ha detto di non sapere nulla di quell'attività antimafia, e ha ribadito che Gladio era solo "una struttura creata per preservare la nazione da attacchi nemici". Cosa abbia fatto in concreto "Scorpione" non è dato sapere. Fornaro e Li Causi hanno parlato genericamente ai magistrati di una relazione di servizio trasmessa a Roma: avrebbe avuto ad oggetto la comunità Saman in cui viveva Rostagno, e un traffico di droga gestito da alcuni ospiti della struttura. Ma di quella relazione non ci sarebbe traccia fra le carte consegnate dai servizi. Così il mistero di "Scorpione" prosegue. È anche il mistero di una vecchia pista aerea in disuso, nei dintorni di Trapani. È la pista di Kinisia. Nel '97, lo Stato Maggiore dell'Aeronautica negò che su quella installazione si fosse tenuta attività durante l'estate 1988. Forse, i mesi in cui Rostagno avrebbe ripreso con una telecamera nascosta qualcosa, poi registrato in una cassetta, scomparsa la sera del delitto. Dopo le indicazioni di un testimone, i magistrati di Trapani tornarono ad insistere con l'Aeronautica. Così, spuntò un'esercitazione a Kinisia, la "Firex 88". Fu solo una simulazione? O forse in quell'occasione Rostagno aveva scoperto il passaggio in Sicilia di un traffico d'armi? .
Diversi documenti e testimonianze affermano che la Alpi stava arrivando al cuore dei malaffari che legavano la Somalia all’Italia e ai Paesi dell’Est, dai quali provenivano gli armamenti, pagati col permesso di seppellire in loco le sostanze nocive.
Diversi testimoni raccontano agli inquirenti un articolato sistema di traffici di armi, rifiuti pericolosi e scorie radioattive, i cui proventi alimentavano in parte conti neri o finivano in tangenti. Un sistema gestito da faccendieri italiani e stranieri, che chiamano in causa complicità politiche legate in special modo all’area socialista. Testimoni e faccendieri fanno ripetutamente i nomi di Paolo Pillitteri e di Pietro Bearzi, all’epoca rispettivamente presidente e segretario generale della Camera di commercio italo-somala, stretti collaboratori di Bettino Craxi, nonché i nomi di uomini dell’Intelligence dell’Italia e di altri Paesi. In particolare, gli investigatori di Torre Annunziata, sulla base del materiale raccolto, ritengono che Ilaria Alpi possa essere stata uccisa non tanto per aver raccolto informazioni e prove su presunti trasporti di armi fatti con i pescherecci della società italo-somala Shifco, quanto per aver scoperto a Bosaso depositi di armi trasportate da Hercules C-130 italiani e ancora recanti l’indicazione della loro provenienza dai Paesi dell’Europa orientale.
A indicare questa pista è soprattutto l’imprenditore Francesco Corneli, ritenuto vicino ai servizi segreti siriani, nonché ex collaboratore esterno del Sisde (servizio segreto civile italiano), ascoltato più volte nel giugno 1997. Corneli aggiunge dettagli inediti: sostiene che per fronteggiare la guerra civile che lo vedeva perdente, il dittatore somalo Siad Barre, tra il 1990 e il 1991, chiese ai suoi referenti socialisti in Italia di procurargli «armamenti di alta tecnologia». Secondo Corneli, il Psi si accordò col Pci, per aprire un canale di rifornimento con i Paesi del blocco orientale. «Allora e negli anni successivi», conclude Corneli, «armi provenienti dall’Europa dell’Est furono veicolate attraverso l’Italia con voli militari che giungevano in Somalia».
Il 7/8/1997 un altro testimone, Marco Zaganelli, dichiara: «Nel periodo in cui sono stato in Somalia, io e tanti altri abbiamo notato con cadenza settimanale la presenza di aerei militari non identificati del tipo Hercules che scaricavano armi in Somalia». Che Bosaso fosse importante non soltanto per il suo porto, ma anche perché vi potevano tranquillamente atterrare aerei militari da trasporto, ci è stato confermato di recente da Guido Garelli.
Armi, insomma. Dall’Italia alla Somalia, via mare e via cielo. Così nel 1992, nel '93 e anche nel '94, sotto gli occhi della missione Onu. Ne parla diffusamente il collaboratore di giustizia Francesco Elmo, che ha lavorato nello studio di un avvocato svizzero, a Lugano, dai cui uffici transitavano documenti relativi a questi traffici (da lui spesso "intercettati") e alle relative operazioni bancarie. Francesco Elmo ha altresì precisato che le armi non finivano soltanto alle fazioni somale in lotta tra loro, ma pure ad altri Paesi («Eritrea, Yemen del Sud, Sudan»), oltreché ai guerriglieri palestinesi, irlandesi (Ira) e baschi (Eta).
Nel corso di indagini diverse, altri inquirenti avevano d’altronde acquisito un documento datato settembre 1992 che ricostruiva, traccia dopo traccia, una spedizione di componenti di carri armati Leopard 1 e Leopard 2 fabbricati da una ditta tedesca, partiti dal porto di La Spezia e arrivati a Mogadiscio (ma forse destinati a rifornire gli arsenali dell’Iran o dell’Irak).
Perfino il generale Carmine Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia fra il 1993 e il '94, in un interrogatorio a Torre Annunziata, il 3/12/1997, ammette che «in quel periodo entravano senz’altro armi, specie dalla strada costiera che dal porto di Obbia arriva a Mogadiscio. Il traffico di armi avveniva con mezzi navali e anche con piccoli aerei che atterravano su una striscia di terra battuta ubicata a circa 40 chilometri a Nord-Est di Mogadiscio».
Che i loschi affari fossero in pieno svolgimento proprio nell’anno in cui vennero uccisi Ilaria e Miran, lo sostiene anche Francesco Elmo. Nel suo memoriale del 22/8/1997 dice: «Nel 1994 un gruppo di personaggi di area socialista erano posti alla regìa di una vendita di armamenti "libici" alla Somalia». Elmo fornisce pure dettagli circa la rotta della nave che li trasportava.
Armi, ma non solo. Nei giorni precedenti la sua partenza per Bosaso, Ilaria incontra Faduma Mohammed Mamud, figlia dell’ex sindaco di Mogadiscio, definita dai giudici della seconda Corte d’assise di Roma teste «attendibile e disinteressata». Nell’aula-bunker di Rebibbia, il 16/6/'99, Faduma racconta: «Ilaria mi aveva detto che seguiva una certa pista, una pista abbastanza pericolosa... Era una questione delicata, di cui non dovevo parlare con nessuno, salvo con qualche persona che poteva aiutarci, di cui potevo fidarmi ciecamente... Lei si interessava a certe cose orrende che venivano fatte sulle coste somale. Aveva appreso che erano stati scaricati rifiuti tossici; cose che noi sapevamo già. Ma eravamo impotenti, non potevamo farci niente».
«Io le ho detto», prosegue Faduma, «che dal 1988 le cose avevano cominciato ad andare alla deriva; non avevamo guardiacoste, non avevamo niente. Avevo sentito che in quasi tutto il litorale somalo, a Merca, a Mogadiscio, a Obbia, nel Moduk, in Migiurtinia (l’area di Bosaso, ndr) erano sepolti dei fusti di cui non si conosceva il contenuto. Ho inoltre fatto notare a Ilaria che erano comparse in Somalia delle malattie nuove, e che si erano registrate morie di pesci».
La deposizione di Faduma trova riscontro nelle informazioni rese agli investigatori da Marco Zaganelli il 7/8/'97: «Tra il 1987 e il 1989 mi chiamò una persona che conoscevo, prospettandomi un grosso affare, perché era stato contattato da alcuni italiani, i quali dovevano sbarazzarsi di un carico di container fermi al porto di Castellammare di Stabia o a quello di Gioia Tauro, contenenti rifiuti tossici o radioattivi, e volevano un referente capace di riceverli e sotterrarli in un’area desertica della Somalia. Successivamente seppi che un carico di materiale radioattivo era stato portato in Somalia e i contenitori sotterrati in un’area desertica nel Nord del Paese».
Ci sono tre nomi, e altrettanti delitti, che si legano: Ilaria Alpi, Vincenzo Li Causi, Mauro Rostagno. La giornalista della Rai venne assassinata insieme all’operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio, il 20/3/1994. Vincenzo Li Causi, uomo del Sismi (servizio segreto militare italiano), per un certo tempo attivo presso la struttura di Gladio operante a Trapani (il centro Scorpione), fu ucciso a Balad, in Somalia pochi mesi pra: era il 12/11/1993. Mauro Rostagno, giornalista e fondatore, insieme a Francesco Cardella, della comunità Saman per il recupero dei tossicodipendenti, venne trucidato a Lenzi, nei pressi di Trapani il 26/9/1988. Questi omicidi, apparentemente senza nesso tra loro, hanno un comune denominatore: la Somalia. Secondo quanto dichiarato ai magistrati da Carla Rostagno, sorella di Mauro, il fratello avrebbe visto e filmato l’arrivo a Trapani, in un aeroporto abbandonato (già usato da un gruppo di Gladio), di velivoli militari italiani da trasporto che scaricavano aiuti umanitari per imbarcare armi e ripartire. Rostagno avrebbe dato copia della registrazione a Francesco Cardella.
Tutte queste circostanze sono state confermate da Sergio Di Cori, giornalista amico di Rostagno che ne raccolse le confidenze nel 1988, prima che questi fosse ucciso. «Quelle armi vanno in Somalia», gli disse con sicurezza Rostagno: «Noi stiamo armando la Somalia mentre ufficialmente stiamo aiutando quei poveri cristi».
Dall’inchiesta condotta dalla Procura di Torre Annunziata, è emerso che esistevano rapporti dei servizi segreti italiani sulla morte di Rostagno ordinati da Bettino Craxi. Copia di essi fu ritrovata durante una perquisizione della sede romana del gruppo craxiano Giovane Italia. Cardella conosceva l’ex segretario del Psi; Giuseppe Cammisa, stretto collaboratore di Cardella, era in Somalia nei giorni della morte della Alpi e di Hrovatin: Cardella l’aveva inviato perché si occupasse di aiuti umanitari e della costruzione di un ospedale a Bosaso.
I pubblici ministeri Antonio Ingroia, Gaetano Paci e Francesco Del Bene vogliono capire come mai fu ignorata, all'epoca, la testimonianza di Mauro Rostagno sui rapporti tra mafia e massoneria (la cosiddetta Loggia Scontrino di Trapani) e come mai non ne han fatto cenno nelle loro deposizioni, se non di sfuggita, quando non potevano più tacere.....
Francesco (detto “Chicco”) Cardella, è stato un personaggio controverso. Stroncato a 71 anni da un arresto cardiaco a Managua in Nicaragua, viveva nel paese del centro-America da quando su di lui, all’inizio degli anni ’90, si erano allungati i sospetti che potesse c’entrare con l’omicidio di Mauro Rostagno, che era stato proprio con Cardella, tra i pilastri di Saman (una ventina di comunità [business] per il recupero dei tossicodipendenti sparse in tutta Italia e anche all’estero) che aveva una sede proprio nel trapanese.
Sociologo, pittore, giornalista, editore di Abc, il giornale della sinistra radicale, ma anche di giornali porno per i quali fu anche arrestato per “pubblicazione oscena”, e poi guru per gli Arancioni di Bhagwan Raynesh in India. Socialista convinto, Cardella è stato molto legato a Bettino Craxi. Tanto amico da prestargli il suo aereo personale durante la latitanza ad Hammamet in Tunisia.
Rsp (individualità Anarchiche)
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Francesco Cardella