Breve risposta a Paolo Barnard

BREVE RISPOSTA A PAOLO BARNARD

Di Carlo Mattogno

Senza intento polemico, ma solo a scopo di chiarimento.
Barnard dichiara in questo Blog che si riferiva a coloro che parlano di “olocaustino”, ma poi coinvolge anche la storiografia revisionistica.
Si stupisce che costoro si accaniscano con l’Olocausto e chiede loro «perché non vi rompete gli occhi a studiare l'evidenze dello sterminio dei pellerossa, degli armeni, degli indios, dei filippini, degli indonesiani, dei congolesi». Domanda più che legittima. Ma forse la risposta non è proprio l’ «odio antisemita». Forse la ragione è più semplicemente quella stessa per la quale neppure lui si occupa di queste vittime, ma ha scelto di occuparsi di quelle israeliane.
Rimprovera loro che non vede come possano «credere seriamente che la “leggenda” dell'Olocausto sia stata forgiata dagli ebrei dopo la seconda guerra mondiale». Se per «“leggenda” dell'Olocausto» si intende la sua versione attuale, non c’è dubbio che essa fu forgiata nell’immediato dopoguerra, ma non da Ebrei, bensì dai Vincitori della guerra nei processi-farsa cui sottoposero i Vinti. Il loro compito fu quello di “storicizzare” la propaganda del periodo bellico. La “storiografia” nacque solo più tardi, dall’humus processuale.
Aggiunge (se interpreto correttamente il suo pensiero), che, quand’anche si fosse verificato un Olocausto di “sole” 500.000 vittime, gli Ebrei lo avrebbero usato in ogni caso per ricattare moralmente l’Occidente. Poi spiega che i suoi critici sono «ammalati nell’anima» per il fatto che pensano che «l'opinione pubblica di fronte alla gran scoperta di 1 milione invece che 6 si solleverebbe in indignazione contro l'ebreo falsario». Questa sua insistenza sui numeri è incomprensibile. Barnard sembra prigioniero di una concezione puramente quantitativa della questione.
Un tale ricatto è possibile soltanto perché l’Olocausto è qualitativamente considerato lo sterminio per antonomasia, uno sterminio metafisicamente connotato, diverso da tutti gli altri della storia, uno sterminio talmente immenso che sarebbe offensivo anche solo paragonarlo a uno di questi. E ciò, appunto, per la definizione stessa di Olocausto. E anche per la definizione di Ebreo. Il Talmud di Babilonia (Synhedrin 58b) sentenzia: «Se qualcuno schiaffeggia un Israelita, è come se avesse schiaffeggiato la Divinità». Perciò l’offesa arrecata all’Ebreo è un’offesa infinita. In virtù dell’Olocausto, questo principio è stato fatto proprio dagli Occidentali ed è diventato il fondamento di quel razzismo al contrario per il quale, nel novero dei morti, contano soltanto i “gasati” ebrei e al massimo si può riservare qualche briciola di pietà a zingari e omosessuali; tutti gli altri sono relegati nelle tenebre esteriori, abbandonati al pianto e allo stridor di denti. È anche il principio per il quale gli Israeliani scambiano un solo Ebreo con due o trecento goijm palestinesi.
Perciò la morte di 500.000 Ebrei durante la seconda guerra mondiale, senza Führerbefehl, senza “camere a gas”, senza “campi di sterminio”, avrebbe certamente provocato un ricatto morale, ma forse esso sarebbe stato disdegnato dagli Occidentali. Qui non si parla di ciò che fanno gli Ebrei, ma di ciò che fanno o potrebbero fare gli Occidentali, e un ricatto si può accettare o respingere.
Per quanto riguarda l’altro punto, il problema non è che cosa accadrebbe se si accertasse che le vittime olocaustiche sono “solo” 1 milione invece di 6. Ciò non ha senso, perché presuppone che si tratti comunque di vittime di un Führerbefehl, di “camere a gas” e di “campi di sterminio”.
Se proprio vogliamo parlare di numeri, per chiarire bene la questione, quand’anche la storiografia olocaustica ammettesse una sola vittima per ciascuno dei cosiddetti campi di sterminio, dal punto di vista revisionistico non cambierebbe nulla. Il problema delle camere a gas è indipendente dal numero delle presunte vittime, riguarda la produzione delle prove. Gli “indizi criminali” di Pressac sulle presunte camere a gas di Auschwitz non acquistano maggiore o minore valore a seconda del numero di gasati che ad esse si attribuisce; essi vanno considerati in sé stessi, riportati ed esaminati nel loro contesto storico-tecnico. E ciò vale anche per le testimonianze sulle presunte camere a gas dei campi orientali.
Inversamente, se si accertasse che il Führerbefehl non c’è mai stato, che le “camere a gas” e i “campi di sterminio” non sono mai esististi, e che, di conseguenza, giudici, testimoni e storici al riguardo hanno mentito spudoratamente per decenni, verrebbe meno la definizione stessa di “Olocausto”, indipendentemente dal numero dei morti. In tal caso, forse, l’opinione pubblica si solleverebbe contro questa falsificazione. Quantomeno si chiederebbe perché è stata ingannata.
Infine Barnard afferma che «il parallelo di Mattogno fra la mia denuncia delle menzogne storiche sulla Palestina e quelle presunte sull'Olocausto non sta in piedi. Nel primo caso si nega interamente l'esistenza di un genocidio, nel secondo al peggio lo si è gonfiato, ma genocidio fu. Quindi nel primo caso è vitale dire al pubblico ciò che il pubblico ignora del tutto, nel secondo come ho già detto per il pubblico cambierebbe poco».
Ma io non ho fatto alcun parallelo, ho solo ho esposto considerazioni di carattere metodologico: ho chiesto perché la “storiografia ufficiale” è menzognera quando parla della questione israelo-palestinese e diventa ineccepibilmente veritiera quando parla di olocausto; per quale ragione gli strumenti della critica debbano essere messi in campo per quella ma non valgano più per questo.
Su un punto Barnard ha pienamente ragione: «la storiografia occidentale e i media ad essa asservita ci hanno raccontato sempre e solo menzogne, una colossale e incredibile mole di menzogne, talmente reiterate da divenire realtà per chiunque».
Per chiunque, appunto.
Forse è il caso di precisare che non auspico affatto che Barnard e gli altri ricercatori anticonformisti si aprano al revisionismo. Non era questo l’intento del mio scritto. Lo scopo era invece di mettere in luce la singolare ricettività olocaustica di studiosi che in altri campi di indagine si mostrano capaci di esercitare una critica raffinata. E il mio auspicio è soltanto che trattino l’Olocausto esattamente come trattano i rispettivi temi di indagine.
Molto probabilmente manterrebbero le loro convinzioni, ma almeno sarebbero convinzioni informate, non preformate.

Carlo Mattogno

21 Gennaio 2010