Carlo Mattogno: le nuove scempiaggini di Anna Foa


Anna Foa
Le nuove scempiaggini su “negazionismo”, “negazionisti” e Shoah di Anna Foa
 
di Carlo Mattogno 

Ho ascoltato con sommo sconcerto una «Intervista ad Anna Foa sul libro “Portico d'Ottavia n.13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del '43” (Laterza Editore)» di Daniele Lembo su Radio Radicale in data 25 ottobre 2013[1]. Lo stupore è stato tanto più grande in quanto il personaggio in questione è nientemeno che «docente di storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma».
 
Cortesia e buona creanza imporrebbero di non infierire su una signora, ma anche alle scempiaggini c'è un limite, oltrepassando il quale, ci si espone inevitabilmente al ridicolo.

La nostra docente comincia con la trita riduzione del revisionismo a bieco “negazionismo”, argomentando che, mentre il primo contribuisce a correggere aspetti storici marginali in virtù della nuova documentazione che via via appare, «il negazionismo vuol dire negare, il negazionismo è rifiuto».

Dunque compito del “vero” revisionismo sarebbe quello di correggere al massimo qualche virgola della dogmatica storiografica, senza mai metterne in dubbio la sostanza. C'è da chiedersi se la nostra docente consideri, ad esempio, la “rivoluzione copernicana” semplice “negazionismo”, dato che, nell'articolo su “Avvenire” che menziono sotto,  ha l'impudenza di richiamarsi polemicamente a tale questione («Cosa diremmo se ci fosse chi insegna ai giovani la teoria geocentrica in astronomia...?»).

Ella ci informa comunque che il “negazionismo” «già nel '45 è nato in Francia»: nel 1945? Se proprio si volesse far risalire il revisionismo olocaustico a Maurice Bardèche, al suo libro Nuremberg ou la terre promise (il che sarebbe falso, sia perché egli credeva alle “camere a gas” e ai “campi di sterminio”, sia perché il vero iniziatore fu Paul Rassinier), la data sarebbe comunque inesatta, in quanto quest'opera uscì nel 1948.

Indi la signora Foa espone una serie di spropositi stupefacenti sulle tesi revisionistiche, che deforma in modo puerile e ridicolo: esso, a suo dire,

«sostiene sostanzialmente che non c'è stato lo sterminio degli Ebrei, che lo sterminio degli Ebrei è un'invenzione o che riguarda un numero infinitamente minore, non di discutere [sic] cinque milioni e mezzo-sei milioni, ma si tratta di discutere se sono due o trecento mila o sei milioni».

Se si fosse informata anche solo superficialmente, la nostra docente saprebbe che, secondo Rassinier, gli Ebrei vittime  del regime nazionalsocialsta furono quasi 1.600.000[2], cifra che non è certo «infinitamente minore» di  cinque milioni e mezzo o sei milioni.

Il “negazionismo”, secondo Anna Foa,

«dice che le camere a gas non sono mai esistite e si appoggia per fare questo non su prove, ma su una strana svalutazione della prova vera e propria...la prova storica»:

qui ella invoca ciò che è perfettamente ignoto alla storiografia olocaustica, la  «prova storica», che invece è proprio lei a deformare in modo a  dir poco risibile, come mostrerò subito.

La signora Foa continua il suo stravolgimento del revisionismo, asserendo che

«dice che i resoconti, i racconti dei testimoni non hanno valore perché i testimoni sono ebrei ...».

Una balordaggine talmente enorme che non vale neppure la pena di soffermarvisi. La docente asserisce poi che, sempre il “negazionismo”,

«subito dopo dice che anche le testimonianze dei nazisti dopo il '43 non sono più valide perché si può presumere che i nazisti cercassero di accattivarsi la simpatia degli altri».

Un altro sproposito altrettanto enorme, con un anacronismo piuttosto spassoso: quali sarebbero le  «testimonianze dei nazisti dopo il '43 ...»?  Intendeva forse dire “documenti”? Oppure “dopo il '45”?

Inoltre esso

«poi punta sul fatto che non c'è stato un ordine scritto di Hitler che dica “tutti gli Ebrei vanno sterminati”, ma questo noi sappiamo benissimo che non c'è».

Qui la nostra docente si dà  la zappa olocaustica sui piedi. Per conferire maggiore incisività al colpo, ella si richiama a un «un ordine scritto di Hitler relativo all'azione T4», il che dimostra soltanto che, quando c'era da sterminare per davvero, Hitler non faceva “cenni della testa”, né trasmetteva parapsicologicamente il suo pensiero, ma, appunto, impartiva ordini scritti.

Poi la nostra docente ci delizia con le  «prove storiche» dell'Olocausto:

«ci sono un'infinità di ordini... la Shoah è l'evento storico più recente [sic]  più documentato...».

Strano: non me ne ero mai accorto. Forse ella ha avuto accesso a documenti supersegreti ignoti a tutti gli altri storici? Non si direbbe proprio, dal penoso e sgangherato elenco che ne propone.

Segue uno scambio di battute particolarmente comico, in cui l'intervistatore butta a casaccio una corbelleria gigantesca che l'intervistata accoglie  subito come vera senza battere ciglio:

«Anna Foa: ... per esempio, sulla famosa questione del Zyklon B ci sono la documentazione [sic] sul numero sterminato di bidoni...di ordini che sono stati fatti dai nazisti e che aumentavano progressivamente di questo veleno [sic].

Intervistatore: Se non vado errato, migliaia di tonnelate, no?!

Anna Foa: Migliaia di tonnellate».

Ora, se lo Zyklon B deve essere addotto come prova di gasazioni omicide, ci si deve ovviamente riferire ad Auschwitz. È noto a tutti, tranne che alla nostra «docente di storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma», che le forniture attestate di questo disinfestante ad Auschwitz sono di 7.478,6 kg per il 1942 e 12.174,9 per il 1943 (NI-11396); per tutta la storia del campo si possono stimare al massimo una trentina di tonnellate (che servirono per i numerosi impianti di disinfestazione esistenti al campo e per la disinfestazione delle baracche), cifra, questa sì,  «infinitamente minore» di quella fantasiosamente creata dal duo intervistatore-intervistata.

E che dire dei «bidoni» di Zyklon B? Per asserire una tale bidonata, la nostra docente, evidentemente, non ha mai visto, neppure in fotografia, un “barattolo” di Zyklon B.

Inoltre c'è «la documentazione sui treni, i biglietti». Non c'è che dire: questa sì che è una «prova storica» inoppugnabile! Evidentemente  la signora pensava ai “treni della morte” della propaganda olocaustica primeva, quelli presuntamente cosparsi di calce viva o in cui avvenivano le “gasazioni” (a quanto pare a pagamento), sicché basta esibire «i biglietti» per dimostrare gli stermini!

E ancora «prove storiche» sconvolgenti: «ci sono i campi, c'è il binario che porta a Birkenau»: roba da azzittire definitivamente il più fiero “negazionista”!

Sempre nel novero delle infinite “prove”,

«ci sono frasi di Himmler per esempio che scrive che “il mondo è troppo presto [sic] per capire quanto il fatto di esserci liberati delle razze inferiori porterà benessere al mondo, un giorno o l'altro il mondo ci ringrazierà”».

C'è solo da chiedersi da dove la nostra docente abbia tratto simili corbellerie.

Passando all'aspetto metodologico, la docente dichiara che il “negazionismo” è «una forma mascherata di antisemitismo» e, per spiegare questo assunto, non trova di meglio che ricorrere a una delle innumerevoli idiozie  pisantyane:

«ma nell'insieme i nazisti hanno cercato accuratamente di sopprimere ogni traccia di prova aggiungendo [sic] a dare la priorità all'uccisione dei prigionieri che già erano stati nei campi, perché non potessero testimoniare; il famoso sogno [?] di Primo Levi e le frasi naziste che tutti [sic!][3] i sopravvissuti riportano erano quelli [sic] “anche se lo racconterete e sopravviverete abbastanza per raccontarlo, nessuno vi crederà».

Se i “nazisti” erano così sicuri che i testimoni non sarebbero stati creduti, perché mai  allora davano «la priorità all'uccisione dei prigionieri che già erano stati nei campi, perché non potessero testimoniare»? Il richiamo a Primo Levi è piuttosto infelice, e non solo perché è documentariamente attestato che trascorse tre settimane all'ospedale dei detenuti di Monowitz, dal 30 marzo al 20 aprile 1944 (invece di essere mandato alle “camere a gas” di Birkenau come ebreo malato e inabile al lavoro), ma soprattutto perché i “nazisti” lasciarono ai Sovietici nel complesso di campi di Auschwitz circa 8.000 detenuti malati incapaci di camminare. Una  eliminazione di “testimoni oculari” piuttosto singolare!
 
«In questo senso continua la docente il negazionismo si aggancia direttamente alla Shoah, ne è, ne fa parte  sostanzialmente, non è un'interpretazione storiografica della Shoah, il negazionismo non ha niente di storico, è una bugia che nega qualcosa che è avvenuto inserendosi nella volontà dei nazisti di negarla e di nasconderla».

Un'altra grossolana balordaggine che non merita neppure un commento. È chiaro che la nostra docente non ha mai visto neppure la copertina di un libro revisionistico.

Alla fine, la signora mi degna di una menzione:

«quando Mattogno e i negazionisti hanno polemizzato con me, hanno polemizzato strana-mente con me che ero contraria alla legge sul negazionismo perché avevo detto che però doveva essere loro impedito di insegnare nelle scuole e nelle università».

Perfino qui Anna Foa stravolge la verità, in quanto le mie critiche non avevano nulla a che vedere coll'insegnamento nelle scuole e nelle università. Di lei mi sono infatti occupato nell'articolo “I volenterosi scopiazzatori di Valentina Pisanty[4], apparso nel 2009, di cui riporto il testo senza le note:

Nell’Osservatore Romano del 26-27 gennaio 2009 è apparso il seguente articolo di Anna Foa: «L'antisemitismo unico movente dei negazionisti.

Il negazionismo della Shoah non è un'interpretazione storiografica, non è una corrente interpretativa dello sterminio degli ebrei perpetrato dal nazismo, non è una forma sia pur radicale di revisionismo storico, e con esso non deve essere confuso.

Il negazionismo è menzogna che si copre del velo della storia, che prende un'apparenza scientifica, oggettiva, per coprire la sua vera origine, il suo vero movente: l'antisemitismo. Un negazionista è anche antisemita. Ed è forse, in un mondo come quello occidentale in cui dichiararsi antisemiti non è tanto facile, l'unico antisemita chiaro e palese.

L'odio antiebraico è all'origine di questa negazione della Shoah che inizia fin dai primi anni del dopoguerra, riallacciandosi idealmente al progetto stesso dei nazisti, quando coprivano [sic] le tracce dei campi di sterminio, ne radevano al suolo le camere a gas, e schernivano i deportati dicendo loro che se anche fossero riusciti a sopravvivere nessuno al mondo li avrebbe creduti. Il negazionismo attraversa gli schieramenti politici, non è solo legato all'estrema destra nazista, ma raccoglie tendenze diverse: il pacifismo più estremo, l'antiamericanismo, l'ostilità alla modernità. Esso nasce in Francia alla fine degli anni Quaranta a opera di due personaggi, Maurice Bardèche e Paul Rassinier, l'uno fascista dichiarato, l'altro comunista. Dopo di allora, si sviluppa largamente, e i suoi sostenitori più noti sono il francese Robert Faurisson e l'inglese David Irving, nessuno dei due storico di professione.

I negazionisti sviluppano dei procedimenti assolutamente fuori dal comune nella loro negazione della realtà storica. Innanzitutto, considerano tutte le fonti ebraiche di qualunque genere inattendibili e menzognere. Tolte così di mezzo una buona parte dei testimoni, tutta la memorialistica espressa dai sopravvissuti ebrei e la storiografia opera di storici ebrei o presunti tali, i negazionisti si accingono a demolire il resto delle testimonianze, delle prove, dei documenti.

Tutto ciò che è posteriore alla sconfitta del nazismo è per loro inaffidabile perché appartiene alla “verità dei vincitori”. La storia della Shoah l'hanno fatta i vincitori, continuano instancabilmente a ripetere, mettendo in dubbio tutto quello che è emerso in sede giudiziaria, dal processo di Norimberga in poi: frutto di pressioni, torture, violenze. Resta però ancora una parte di documentazione da confutare, quella di parte nazista che precede il 1945. Qui, i negazionisti hanno scoperto che nessuna affermazione scritta dai nazisti dopo il 1943 può dichiararsi veritiera, perché a quell'epoca i nazisti cominciavano a perdere la guerra e avrebbero potuto fare affermazioni volte a compiacere i futuri vincitori. “Et voilà”, il gioco è fatto: la Shoah non esiste!

Il negazionismo si applica in particolare a dimostrare l'inesistenza delle camere a gas, attraverso complessi ragionamenti tecnici: non avrebbero potuto funzionare, avrebbero avuto bisogno di ciminiere altissime e via discorrendo. È questa la tesi che ha dotato di notorietà uno pseudo-ingegnere, Fred Leuchter, e che domina nei siti negazionisti di internet.

Oggi, il negazionismo è considerato reato in molti Paesi d'Europa, anche se una parte dell'opinione pubblica rimane restia – come chi scrive – a trasformare, mettendoli in prigione, dei bugiardi in martiri. Non mancano poi sostenitori del negazionismo in funzione antiisraeliana. Bisogna però ripetere che dietro il negazionismo c'è un solo movente, un solo intento: l'antisemitismo. Tutto il resto è menzogna».

Non mi soffermo a confutare questo concentrato di sciocchezze, che rasentano spesso la comicità. La storiella del «dopo il 1943», ad esempio, è veramente spassosa. Quale mirabile inventiva!

La cosa più grave è che Anna Foa non è una semplice collaboratrice dell’Osservatore Romano, ma è soprattutto una storica di prestigio, che però non soltanto non si è mai curata di aprire un libro revisionistico, ma non è stata neppure capace di presentare un riassunto decente delle favole pisantyane, avendo profuso nello scritto sopra citato spropositi assurdi che la stessa Pisanty non ha osato neppure sfiorare. Da ciò si desume che questa storica non ha letto nemmeno il libro della Pisanty, ma si è basata semplicemente su resoconti giornalistici. Un copia-incolla di seconda mano.

E questi sarebbero gli “storici” olocaustici: individui che si riducono ad attingere dagli scopiazzatori-giornalisti, ma che, nonostante ciò, rivendicano orgogliosamente la loro qualifica di “storici” accademici, sottolineando con compiacimento e una punta di disprezzo che né «il francese Robert Faurisson» né «l'inglese David Irving» è uno «storico di professione»!

Un indubbio merito, a paragone di uno “storico di professione” olocaustico.

Come quasi sempre, la verità è il contrario di ciò che proclamano gli adepti della Holocaustica Religio: la Shoah non è un'interpretazione storiografica, ma un articolo di fede, una nuova forma di battesimo in virtù del quale si entra nella communio ecclesiale, ma anche una nuova forma di diritto naturale grazie al quale si viene ammessi nel consesso sociale. I reprobi sono relegati nelle tenebre esteriori, dove c’è pianto e stridor di denti.

La fede nella Shoah non ha nulla a che vedere con la storia o la storiografia, ma ha un carattere essenzialmente ideologico. La stessa storiografia olocaustica, nel suo nucleo centrale, è essenzialmente il risultato di una ideologia.

Per questo motivo gli olo-santoni messianici non sono affatto interessati all’accertamento della verità, neppure all’akribéia in campo storico-documentario.

Per questo motivo non si curano minimamente della letterarura scientifica revisionistica.

Valentina Pisanty, novella Pizia, ha vaticinato e non bisogna far altro che diffondere il responso. E se si trattasse di Oracoli Sibillini?»

Come si vede, negli ultimi quattro anni, Anna Foa non solo non si è documentata uno joth di più sul revisionismo e sulla storiografia olocaustica, ma si è impelagata ed è sprofondata in una palude di scempiaggini ancora più grossolane.

E se questi sono i  nostri  docenti di storia contemporanea...

Di recente, il 30 ottobre, Anna Foa, sulle colonne di “Avvenire” è tornata in cattedra per bacchettare, dall'alto delle sue mirabolanti “conoscenze” olocaustiche, gli «intellettuali d'assalto» Odifreddi e Vattimo rei, a suo dire, di concessioni “negazionistiche”.

«Ma il negazionismo è davvero un'opinione controcorrente o sta guadagnando terreno, fra le grandi opportunità del web e l'ignoranza dei piu? Contrariamente a quanto si pensa, non è una corrente storiografica, un'interpretazione della storia, ma una sua negazione a priori. Quanti tra i seguaci dei siti negazionisti hanno la minima idea di come si fa storia e sono in grado di affrontare criticamente la falsità dei loro pseudoriferimenti storici? Quanti fra quelli che si dicono convinti dei dubbi dei negazionisti sanno che la Shoah è, fra tutti gli eventi del Novecento, quello più documentato e conoscono tale documentazione? Il problema è un problema di fondo e va affrontato con le armi della conoscenza»[5].

Provenendo da chi non ha la più pallida idea di che cosa sia il revisionismo e che ha una conoscenza della storiografia olocaustica chiaramente inferiore a quella di un qualunque studente di scuola media (se non altro perché i libri di testo delle scuole medie non contengono simili balordaggini), questo richiamo alla metodologia storiografica suona pateticamente ridicolo.

Nella speranza che la nostra docente universitaria  mastichi almeno un po' di latino, le consiglio:

Sutor, ne ultra crepidam! 

Alle scempiaggini di Anna Foa sul revisionismo olocaustico contrappongo i miei tre studi specialistici più recenti su Auschwitz:

– Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli “indizi criminali” di Jean-Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert Jan van Pelt. Effepi, Genova, 2009, 715 pagine, con 51 documenti, 2510 note;

  Auschwitz: assistenza sanitaria, “selezione”e “Sonderbehandlung” dei detenuti immatricolati. Effepi, Genova, 2010, 335 pagine, con 60 documenti, 747 note;

– I forni crematori di Auschwitz. Studio storico-tecnico con la collaborazione del dott. ing. Franco Deana. 2 vol. Effepi, Genova, 2012, 1211 pagine, con 300 documenti e 370 fotografie, 715 note. 

Se la nostra «docente di storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma» avrà almeno la curiosità di sfogliarli, vi troverà (tra l'altro), oltre a un'abbondanza di  «prove storiche» e di documenti di cui non sospettava neppure l'esistenza, discussioni su una serie di testimonianze le quali, come viene dimostrato, «non hanno valore»  non già «perché i testimoni sono ebrei», ma perché fanno dichiarazioni manifestamente false, assurde e contraddittorie.

Comunque, giacché ormai ha superato ampiamente i confini della decenza e anche alla sopportazione di insolenze, ancorché puerili, c'è un limite, è giunto il momento che la nostra docente dimostri la veridicità delle sue affermazioni rimuginatorie; perciò la invito formalmente a trovare in questi tre studi e ad esporre pubblicamente una sola delle balordaggini che ella attribuisce al “negazionismo”, una sola «falsità»; per lei, che, bontà sua, possiede «le armi della conoscenza» ed è perfettamente «in grado di affrontare criticamente la falsità dei miei pseudoriferimenti storici», sarà senza dubbio un gioco da bambini. Quale occasione migliore per mostrare a tutti «come si fa storia»,  infliggendo nel contempo una vera gogna mediatica a un miserando “negazionista”, naturalmente “antisemita”?

Ma se non lo farà, ciò costituirà la prova provata ed inequivocabile che tutto ciò che ha detto del “negazionismo” è  pura «menzogna».

L'invito naturalmente è esteso a tutti i suoi colleghi, storici di professione, docenti e non docenti, inclusi gli ausiliari pisantyani, che condividono il quadro caricaturale del revisionismo olocaustico delineato da Anna Foa.

Aspetto con fiducia che le mie “bugie” vengano finalmente “smascherate”. 

Post scriptum: È perfettamente inutile oppormi senza neppure avere aperto i libri summenzionati ,  le opere di Jean-Claude Pressac e Robert Jan van Pelt, perché nei mei studi ho effettuato una demolizione documentata e sistematica proprio delle loro tesi.

                                                                                                             Carlo Mattogno
 
 
 
 
 
 



[2] P. Rassinier, Il dramma degli Ebrei europei. Edizioni “Europa”, Roma, 1967, p. 182.
[3] Per quanto mi è noto, Primo Levi è l'unico testimone che abbia raccontato questa faceta storiella.